Ci sono tanti modi di sentirsi o di essere smarriti e Caterina, una signora ottantenne, accomuna il suo smarrimento alla scomparsa di una gatta. Lei che, vagando smarrita da un ricordo all’altro, tra passato e presente, senza ricordare la via di casa, si sente a suo agio solo nell’ambulatorio di un veterinario.
Seduta sulla panchetta della sala d’attesa di una clinica veterinaria, Caterina non riesce a distogliere lo sguardo dalle mani che, appoggiate sulle ginocchia, si esercitano in esercizi che non sconfiggeranno certo l’artrosi delle dita storte, ma la stanno aiutando a passare il tempo. Un tempo che sarà breve, lo sa, ma che sente di vivere come se non dovesse finire mai. Che brutta invenzione l’eternità, pensa, e nel dare forma a questo pensiero distrae gli occhi dalle mani e li posa sulla bacheca appesa al muro di fronte. “Gatta smarrita”, legge, e c’è anche una foto della micia che di nome fa Ciarlina e ha una macchia bianca sul muso, nero come il resto del corpo.
A Caterina viene da sorridere all’insolita affinità tra il suo nome e quello della gatta: entrambi terminano in “ina” e cominciano per C ed entrambe sono smarrite. Certo, lei si sente smarrita, mentre Ciarlina è stata smarrita. O se n'è andata di sua volontà, senza chiedere il permesso a nessuno? I gatti, si sa, sono imprevedibili e indipendenti, mai contare su una assoluta disponibilità a condividere la propria esistenza con la tua fino alla fine. La fine, la sua o la mia? Pensa Caterina, che da poco ha perso il marito con cui, invece, ha condiviso 50 anni pieni di vita. E adesso si sente smarrita, senza quegli abituali punti di riferimento di cui tutti, prima o poi, abbiamo necessità.
È come se avesse smarrito il senso del suo esistere su questa terra, nel mondo. Si scuote, scruta con apprensione la porta dell’ambulatorio, nel vano tentativo di capire che cosa stia succedendo là dentro. Per fortuna da un po’ di tempo, almeno da quando ha superato gli ottanta, le capita di non trattenere un pensiero per più di qualche secondo. Immagini e parole, ricordi e incombenze le si affollano nella mente in ordine sparso, si aggrovigliano in un gomitolo inestricabile di cui perde presto il bandolo. E sfarfallano qua e là, anch’essi smarriti come la farfalla appena uscita dal bozzolo. Ma forse no, la farfalla non si smarrisce mai, lei vola di fiore in fiore con un preciso obiettivo, allontanare il più possibile la propria fine. Mah! Sarà vero?
Lo sguardo di Caterina si sposta sulla foto di un altro animale, un cane di media taglia di nome Dior che viene dato per disperso. E’ un bel cane color miele e la proprietaria, che di nome fa Elena, si raccomanda che, chiunque lo trovasse, gli parli con calma, perché sarà spaventato. Non è un cane aggressivo, precisa, anzi, ha un carattere docile e arrendevole, però …
- Si sa, chi ha paura può diventare diffidente e trasformare una mano tesa ad accarezzare in un gesto pericoloso, vero?
Caterina commenta stizzita e ad alta voce il comunicato, guardando dritto negli occhi un nuovo paziente, un cagnetto ciccione e ansimante, che le risponde agitando la coda soddisfatto per l’attenzione. Il padrone invece finge di non aver sentito, infastidito da una delle tante rimbambite vecchie signore che parlano da sole o peggio, come questa qui, ai cani!
Caterina sorride di nuovo, indifferente al disagio del tizio e pronta ad aumentarlo. Negli occhi ha la stessa furbetta espressione della gatta Ciarlina, che chissà dove è andata a smarrirsi.
- Ma lei, signore, s’è mai smarrito? – gli chiede e senza aspettare la risposta continua – Io ricordo che ero piccina piccina, avrò avuto quattro o cinque anni, mi sono allontanata dal marciapiedi sotto casa con il compagno di giochi e ci siamo persi. In quel caso ero troppo piccola per sentirmi smarrita. E poi era così eccitante perdersi, allontanarsi dai confini imposti dagli adulti… Non mi sono più sentita così felice!
Adesso ad aver perso la pazienza è il signore con cagnetto. Sbuffa platealmente e si allontana di qualche passo per segnare un’aristocratica distanza tra lui, il suo cane e Caterina. In realtà il quadrupede cicciottello accenna una certa resistenza, tira il guinzaglio, scodinzola e ansima verso la signora, che per lui non è né vecchia né rimbambita, ma solo gentile e carezzevole. Perché mai – sembra domandarsi – non posso leccarle la mano venata d’azzurro?
Quella stessa mano con cui Caterina, con l’espressione complice del partigiano che invita alla resistenza, gli fa segno di quietarsi e di accucciarsi paziente. Il cane obbedisce rassegnato, mentre il padrone discute con la moglie al cellulare: “potevi portarlo tu, poteva portarlo tuo figlio, sì lo so che è anche mio, purtroppo!” e altre variazioni sul tema: lui questo cane non lo voleva e glielo hanno appioppato, come tutte le altre noiose incombenze della famiglia e lui è stufo di fare da servo a moglie, figlio e adesso anche al cane, eccetera.
Caterina ha smesso di ascoltarlo. Seduta composta sulla panchetta ritorna col pensiero a quanto sta accadendo al di là della porta dell’ambulatorio. Le è sembrato di sentire un miagolio, il miagolio della sua Lucilla, ma forse s’è sbagliata. Sfarfallano i pensieri, svolazza lo sguardo e si posa di nuovo sull’annuncio della gatta Ciarlina, smarrita e … DISORIENTATA! “Come ho fatto a non accorgermene prima – pensa – quel “disorientata” spiega tutto, povera Ciarlina senza oriente, chissà dove si era nascosto il suo sole e forse lei non ha accettato di vivere con lo sfondo di un perenne tramonto!”
Scuote la testa Caterina, sempre più impietosita dal destino della gatta Ciarlina, nella quale continua a immedesimarsi. Alza le mani nodose alla fronte per scacciare emozioni alle quali non vuole più dar retta. Scosta una ciocca di candidi capelli che le stanno ostruendo la visuale degli unici ospiti in attesa del medico: cagnetto ciccione e tizio antipatico, che però, pensa magnanima, può darsi che non ce l’abbia con lei, ma col mondo intero, perché è stanco e fatica a rilassarsi. Ormai capita a tanti! Gli fa una domanda a bruciapelo.
- Lo sa lei che Oriente viene dal latino orior, che significa nascere?
- Non ho mai studiato il latino – gli risponde acido il tizio, deciso ad andarsene e costretto a restare dal cagnolino, che sta rivelando una forza non comune nel tirare il guinzaglio per avvicinarsi alla mano venata d’azzurro della vecchia signora.
- Che peccato! – commenta Caterina, sorridendo al ricordo di un viaggio in Giappone in compagnia del marito, buonanima.
Quello sì che era oriente vero - racconta a voce alta senza preoccuparsi dell’assenza di ascolto - e lei non aveva tardato ad orientarsi tra i fiori di ciliegio che ogni primavera si riversano sul Giappone. Si era lasciata accarezzare da migliaia, milioni di petali bianchi e si era mescolata ai giapponesi ammassati sotto gli alberi in fiore. E suo marito? Non ricorda, si vede da sola e questo pensiero le fa male, un dolore improvviso, insopportabile. Resta in silenzio a capo chino, disorientata.
La porta dell’ambulatorio si apre. Per primo esce a tutta birra un setter bianco e marrone, desideroso di lasciarsi alle spalle e dimenticare per sempre (ma non sarà così, lo commisera tra sé Caterina) quella spiacevolissima esperienza. Lo segue una ragazza, che quasi inciampa sul guinzaglio del cagnetto e per poco evita di scontrarsi con lo scorbutico signore ignaro di latino e decisamente stufo di dover difendersi da giovani, vecchi e animali.
- Mi scusi – balbetta la ragazza arrendendosi alla foga del suo cane – Aspetta, Lola, piano! – e, volgendosi a Caterina visibilmente divertita e immemore, aggiunge un educato “Buonasera!” ed esce.
- Lola, che bel nome. Lo sa lei che anch’io avevo un cane di nome Lola, una specie di setter, era dolcissima, mi ha sfornato sette cuccioli, non ricordo però se li abbiamo dati via, ne vuole uno?
Ma il tizio sta entrando nell’ambulatorio tirando con violenza il cagnetto, che adesso no, non ne vuole più sapere di restare lì.
- Signora Caterina!
La voce del veterinario la fa alzare di scatto dalla panchetta, vorrebbe entrare.
Il medico la ferma dolcemente sulla soglia e la invita a tornare a casa: che ci fa tutti i giorni una bella signora come lei in quel posto puzzolente?
- Come che ci faccio! Aspetto che mi ridia la mia gatta! E poi questo posto mi piace e non puzza. Mi sento a casa.
Il veterinario esce del tutto socchiudendo la porta alle spalle e ignorando le proteste del tizio, che sperava di poter concludere al più presto quell’impegno seccante e tornare così alle sue chat proibite.
Afferra con delicatezza le mani di Caterina e le tiene tra le sue mentre le rammenta che la sua gatta non può tornare, perché è morta diversi anni addietro, per altro alla veneranda età di 22 anni!
Smarrita, stupita, Caterina scruta il veterinario convinta che le stia raccontando una bugia per spingerla ad andarsene. Per un attimo pensa “strano, di solito è così gentile e la mia Lucilla si trovava così bene con lui…”
“Si trovava …”, quell’imperfetto si fa largo nel groviglio dei pensieri e una lacrima scende lenta e vergognosa sulla guancia avvizzita. Vorrebbe trovare le parole per scusarsi, non è colpa sua se il desiderio di riaverli vicino, gatta e marito, è così forte da farle dimenticare l’assenza, non dipende da lei se qualche volta smarrisce la strada di casa e si ritrova alla clinica veterinaria.
- Perché vede, dottore, gli animali che incontro qui, anche quelli che non ci sono, quelli disorientati o persi, mi fanno compagnia e mi ascoltano.
Ma il dottore è rientrato precipitosamente nell’ambulatorio, richiamato dagli improperi del tizio.
Caterina volge lo sguardo ancora appannato dalle lacrime alla bacheca, sorride a Ciarlina gatta smarrita e le assicura che non appena anche la sua gatta sarà tornata a casa le farà incontrare. Saranno come sorelle. Anche a lei sarebbe piaciuta una sorella, avrebbero giocato a “casetta” e si sarebbero scambiate i vestiti ammirandosi allo specchio, le labbra rosse del rossetto rubato alla mamma. Di nuovo lo sfarfallio che le scolorisce il dolore.
- Vedrai, è un bel gatto, un po’ scorbutico, ma Emilio mi dice che ha preso da me, è una femmina vanitosa – ride al pensiero del marito che la prende in giro per un istinto materno indirizzato più ai cuccioli animali che a quelli umani . Emilio non c’è più, lo sa, ma non importa.
Passa davanti alla locandina del cane Dior, si accorge che l’annuncio della perdita risale a quasi un anno prima, un lungo tempo ormai. Lo saluta incoraggiandolo a non perdere la speranza di essere ritrovato, lo rassicura sul fatto che i suoi padroni non l’hanno dimenticato, perché le perdite fanno male, ed esce.
- Vedrai – gli dice ad alta voce – ti ritroveranno!
“Da qualche parte ci si ritrova sempre!” è il suo ultimo pensiero.